Una foto al femminile dell’ambiente di lavoro in Italia fatta da Giorgia D’Errico

CENTRO – Si intitola Femminile Plurale il primo libro di Giorgia D’Errico, trofarellese trapiantata a Roma. Una fotografia sul mondo del lavoro femminile nelle sue molteplici sfaccettature, raccontato da diverse voci e diverse angolazioni. Da una sex worker che vorrebbe il suo lavoro legittimato dallo Stato, ad una giovane medico che dovrà lottare per essere considerata come il suo Professore maschio. Da una lavoratrice a progetto che divide le ore del giorno in quantità prodotte per non perdere il lavoro, a una tassista per cui la notte e il giorno diventano un’unica linea di continuità del suo quotidiano vivere: una linea sempre più sottile. Fino al mondo dell’impresa e dell’industria con le sue mille e spesso ingiustificate contraddizioni. La differenza di retribuzione e la quotidiana lotta per ottenere le stesse condizioni di lavoro dei colleghi maschi. Un viaggio all’interno della realtà sociale e lavorativa di una generazione intera ancorata, suo malgrado, ad un passato che dovrebbe essere ormai un ricordo.
Incontriamo l’autrice.
Giorgia come è approdata a questo libro? «Per motivi professionali e poi perché mi piace, ho sempre dedicato del tempo a parlare con le persone, soprattutto, quando da un certo momento della mia vita, tutto ha iniziato a girare intorno al lavoro e ai lavoratori.
Ammetto anche che ad un certo punto sia venuta fuori tutta la mia indole femminista. Un giorno stavo parlando con una persona di storie di donne che avevo incontrato. Mi disse: “perché non dai voce a queste storie normali?” Da qui è nata l’idea. Parlare delle donne che lavorano. Quelle che non hanno possibilità di raccontarsi eppure hanno tanto da raccontare.
Così, una sera per esempio, mentre ho preso un taxi al volo ho incontrato al volante una donna e solo dalle prime tre cose che ha detto, ho pensato che andava fatta conoscere in qualche modo.
E così è andata per molte altre.
L’intento è quello di mettere al centro la questione femminile, tornando ad ascoltare chi quel problema se lo vive ogni giorno».
Ma secondo lei siamo in dirittura d’arrivo verso la parità di genere?
«Sulla parità di genere la strada è ancora lunga. Le battaglie degli anni ‘70 hanno aperto un varco ma la mia generazione forse non ha saputo attualizzarle o comunque non è riuscita ad innovarle.
Spesso nel mondo del lavoro, siamo costrette a diventare degli ‘uomini in tailleur’, perché non ci è consentito di portare quelle che sono le caratteristiche femminili. La sfida adesso non è superare i colleghi maschi, e avere le stesse opportunità. A cominciare per esempio dalle differenze salariali, che per le donne sono sempre più basse.
C’è tutto un mondo femminile pronto a dare il suo contributo vero e autentico. Ma va sostenuto, aiutato e incoraggiato.
Sono pronte le donne ma non sono pronti molti uomini. Non basta dire di credere nei diritti se poi abbiamo continui episodi di violenza fisica e psicologica. Non può continuare a coesistere il pensiero assurdo che se un uomo lavora tanto sia positivo mentre se una donna lavora tanto ‘ è una carrierista’.
Preferisco un uomo che chiaramente esprima il suo disappunto sulle questioni di genere per poter andare in dialettica, piuttosto che le finte tolleranze che portano ancora a terribili soprusi psicologici».
Come mai questo titolo al libro?
«Il titolo di questo libro è un po’ l’essenza del libro. Sono 10 racconti di incontri. Incontri fra me e la pluralità del femminile. Si tratta di donne incontrate per caso, grazie a conoscenze comuni oppure cercate per l’occasione.
Ognuna di loro ha una caratteristica femminile unica e spesso io stessa mi sono ritrovata in ognuna di loro. In una parola. La facilità con la quale comunicano le donne è unica. Io ho cercato di sfruttarla al massimo».
Ok, ma questa prima opera letteraria è frutto di un cammino politicoe lavorativo?
«La stesura di questo libro è una cosa della quale avevo bisogno io in un momento particolare della mia vita. Succede spesso di sentire la necessità di condividere con gli altri alcuni aspetti ai quali sei legato da tempo. Quindi ho cercato di tenere fuori la mia attività professionale sebbene è ovvio che quello sia il mio background e che da lí arrivi molto di ciò che sono e ciò che scrivo. Tutto questo è condensato nei ringraziamenti che ho sintetizzato così:
Grazie a Pamela, Elena, Patty, Sara, S. , Vanessa, Katia, Chiara, Sabina e Diva per il tempo che mi hanno dedicato e per aver regalato le loro parole e le loro storie ai miei racconti. Affidarsi alle donne e tra donne è più facile, ma per nulla scontato. Grazie a mia madre e a mio padre, perché molto di ciò che sono lo devo a loro. Anche il mio desiderio di ribellione.
Grazie a Dede, sorella e correttrice di bozze insostituibile.
Grazie alle compagne e ai compagni che ho incontrato durante la militanza politica prima e nel sindacato ora. Ogni momento condiviso è stata occasione di incontro, di scontro ma soprattutto di crescita.
Grazie alle ‘zie’ della XVII legislatura perché hanno saputo far parlare di donne e hanno parlato alle donne, coinvolgendo anche gli uomini.
Grazie alle amiche e agli amici di sempre, quelli con i quali sono cresciuta e quelli che sono arrivati dopo.
Grazie alle amiche ‘disagio’ perché più ‘femmine plurali’ di così non si può essere.
Grazie a ‘Prosecco Democratico’ e a tutte le volte che abbiamo loro ricordato che ‘ non può essere sempre spogliatoio’
Grazie agli uomini che ho incontrato nella mia vita, soprattutto a quelli che delle donne non hanno capito proprio nulla e che sono stati fonte di ispirazione per scrivere.
Grazie a chi mi ha preso per mano e mi ha riportato al mare, nel luogo che amo di più al mondo.
Grazie a Luigi e a tutti i ragazzi della Round Robin per averci creduto e aver avuto molta pazienza con me.
Grazie a Susanna perché è riuscita a compiere quasi una rivoluzione.
E infine grazie a Edoardo perché ha tirato fuori tutto il femminile che c’è in me e mi permette ogni giorno di essere la sua mamma.
Chiudo ringraziando mio figlio e lo faccio perché l’aspetto della conciliazione nel nostro Paese è ancora un problema non risolto.
È un fatto culturale e resta nella maggior parte dei casi un problema molto femminile. È alle donne che nei colloqui di lavoro chiedono notizie sul desiderio di maternità, sono le donne che quasi si sentono a disagio quando sono in maternità o se devono chiedere di uscire prima per andare a prendere i propri figli a scuola. È una questione di scelte. Un cambio di passo, ora non sarebbe sgradito».

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