CENTRO – La presenza e le vicende trofarellesi di San Giovanni Bosco a Trofarello sono note a tutti. Pochi sanno però che l’amministrazione cittadina del comune ebbe a ridire con il Santo Torinese per una questione di Messe non celebrate. A raccontare dell’accaduto, prove documentali alla mano, è il primo cittadino Gian Franco Visca, sempre attento agli avvenimenti di storia locale e, come un moderno menestrello, racconta in prossimità della festa del Santo, il 31 gennaio, questo singolare episodio che intreccia la vita di don Bosco con la città. «Il sacerdote trofarellese don Antonio Giovanni Franco, con testamento redatto il 18 settembre del 1864, istituì suo unico erede universale di tutti i suoi beni mobili ed immobili in qualunque cosa consistano Don Bosco Giovanni nativo di Castelnuovo d’Asti – spiega il sindaco – Tra questi beni erano presenti la sua casa La Quara (oggi Villa Tola Doria all’inizio di via IV Novembre) e la cascina Trucco (oggi ancora visibile circa duecento metri oltre il Santuario di Celle sulla destra verso il Rio Sauglio.
Nel testamento don Franco faceva obbligo al suo erede Don Giovanni Bosco di far si che la sua “casa fosse sempre abitata da un certo numero di giovani in educazione per il bene materiale e morale della mia patria” e “di stabilire nella cascina Trocco una colonia agricola di giovani che avrebbero dovuto lavorare i beni di detta cascina ed a istruirli. “In questo lavoro – recitano i documenti – sarà un pio e buon agricoltore. La direzione di questa colonia sarà affidata ad un sacerdote di don Bosco che provvederà anche alla istruzione scolastica di questi giovani. A far parte di questa colonia dovranno essere preferiti i giovani poveri di Trofarello ed il numero non sarà limitato ma se ne accetteranno quanti ne possono essere mantenuti. “La monografia di G. Buccellato racconta e spiega meglio la vicenda: (…) I primi esercizi spirituali dei salesiani si realizzarono nel 1866 nella casa di Trofarello…
Don Bosco in una memoria storica, presentata il 20 gennaio del 1870 alla Sacra Congregazione dei Vescovi Regolari scrive: “La casa di Trofarello, diocesi di Torino, è specialmente destinata a fare gli esercizi spirituali…” A partire proprio da quell’anno, visto che la stessa non era più sufficiente a contenere l’alto numero di partecipanti, gli esercizi furono spostati a Lanzo e la casa fu successivamente alienata.
E da qui inizia l’ultima parte della storia che ha come scenario l’aula del Consiglio Comunale dove in una seduta del 27 ottobre 1877, presieduta dal sindaco Cav. Camillo Rey, lo stesso comunica al Consiglio che Don Bosco non sta più rispettando la volontà testamentaria di don Franco in quanto ha venduto la casa al marchese Romolo Doria, figliastro della marchesa Luigia Vagnone, vedova Doria. I consiglieri sdegnati deliberarono all’unanimità di chiedere spiegazioni sul non rispetto delle volontà testamentarie.
In quell’epoca Don Bosco era già gravemente infermo (sarebbe deceduto il 31 gennaio 1888). Ma nonostante ciò, il sindaco decise di procedere ed il suo interlocutore divenne don Michele Rua con il quale intrattenne una serrata corrispondenza. Don Rua riferiva nelle proprie missive circa la salute ed il progressivo peggioramento di don Bosco, ammettendo di aver contravvenuto alle disposizioni testamentarie con la vendita dei beni ereditati e per questo propose un indennizzo di 8000 lire. Nonostante queste manifestazioni di buona volontà, i consiglieri continuarono con le loro lamentele, tanto che, in una lettera del 12 maggio 1888, scritta da
Bartolomeo Masera (poi sindaco) a Don Rinaldi (beatificato nel 1990), rilevando delle lacune negli atti di passaggio proprietà dei beni ereditati si leggono queste parole:… Difatti non ci fossero nella occasione condizioni alcuna da parte degli eredi l’attuale Amministrazione potrebbe alienare la cascina ed il denaro adoperarlo per la formazione di una piazza o di una strada ed un Amministrazione socialista, da avvenire, potrebbe usarne i frutti per sussidiare la camera del lavoro od al circolo socialista, che non era certamente nella volontà del testatore e tanto meno del suo erede Venerabile Don Giovanni Bosco – continua nella sua narrazione il sindaco Visca – E suggerisce: “ Per assecondare al desiderio espresso da questo Consiglio Comunale con sue deliberazioni, di stabilire in paese con i redditi della cascina una scuola di 4° e 5° maschile con lezioni bisettimanali di agricoltura e disegno e che, a maestro di questa scuola, sia sempre un sacerdote regolarmente patentato ed approvato dalla autorità scolastica, coll’obbligo di celebrare in paese una messa (come in via provvisoria si fa attualmente con piena soddisfazione di questa popolazione). Il Comune di Trofarello sarà tenuto a corrispondere al medesimo uno stipendio non superiore a quello stabilito per legge agli insegnanti delle scuole maschili elementari.
Il 28 ottobre 1888 il Comune di Trofarello pervenne quindi alla stipula di una convenzione firmata da don Rua e da don Lago, nella loro qualità di eredi di Don Bosco, in base alla quale per non aver adempiuto alla volontà del testatore don Franco, “si assumevano l’obbligo di provvedere alla celebrazione di una messa festiva” nella chiesa parrocchiale o nella cappella di San Giuseppe a discrezione della comunità”». Una storia minima di uomini e santi locali.