I ritorni del cuore – Capitolo 4

Francesca

Quadratino rosa

Certe cose non cambiano. Certo, adesso la stazione è nuova. Ad entrarci non hai più quella sensazione di precipitare in un fatiscente ‘800. Ma una stazione è sempre una stazione. Odore di caffè e di persone appena sveglie. Fruscio di giornali. La partita. I politici  (che maledizione). Discorsi da bar, avrebbe detto sua nonna.
Non era mai riuscita ad amare i treni. Quando era tornata a Trofarello, appena terminato il liceo, aveva imparato addirittura ad odiarli.
Suo padre le aveva comunicato la notizia con la massima noncuranza, come le avesse chiesto “ti va di andare al cinema sabato?”. Già, incredibili i suoi genitori. In una mattina qualunque, davanti ad una tazza di caffè qualunque, con la massima tranquillità le avevano comunicato l’intenzione di aprire uno stabilimento della loro azienda all’estero. Il che avrebbe comportato il trasferimento – di nuovo! – di tutta la famiglia.
Aveva ancora nel cuore un senso di mancanza di radici, già lasciare Trofarello per Brescia non era stato facile. Ritrovarsi così, improvvisamente, in una scuola nuova, amici nuovi. Tutto da scoprire, ed in certo senso affascinante, ma anche tutto estraneo. Ricordava come fosse ieri la sensazione di essere un’aliena. Accento diverso, vestiti diversi, modi di dire diversi.
E adesso avrebbe dovuto passarci un’altra volta? Proprio adesso che aveva terminato il liceo e già si vedeva proiettata, con timore, nel nuovo mondo universitario?francesca4
Aveva cercato di restare calma. Quale sarebbe stata stavolta la destinazione? Roma? Veneto? Puglia? Non ne aveva idea.
“E dove si andrebbe stavolta?” – aveva chiesto cercando di imitare il tono di noncuranza dei genitori.
“Ti aspetta una grossa sorpresa tesoro” – aveva cinguettato la madre, con quel tono stridulo che assumeva quando cercava di farle digerire qualcosa di improponibile – “Sarà un’esperienza formante, ti cambierà la vita, ti aprirà orizzonti che non avresti mai immaginato” – aveva proseguito.
Ok. Adesso era DAVVERO preoccupata.
Era seguito un silenzio imbarazzante. Poi suo padre si era lanciato in una lezione di economia globale, e più discorreva di mercati emergenti, più Francesca impallidiva. Cina.
Cina? No no, devo aver capito male.
No, non aveva capito male, proprio dietro l’angolo… Cina.
NO! Neanche a parlarne. Assolutissimamente, irrevocabilmente no!
“La scuola internazionale americana ti fornirà un bagaglio di nozioni che ti permetteranno di conquistare il mondo” – squittiva nervosamente sua madre.
Un rapido inventario di opzioni erano passate nella sua testa, ed eccola, la soluzione.
“Mamma, papà. Ho vent’anni, ho la mia vita. Non vi ho mai dato preoccupazioni, questo me lo dovete concedere. E’ tempo che io prenda la mia strada. E la mia strada è qui, in Italia. Voglio diventare avvocato, lo sapete. E portarmi via ora vorrebbe dire tagliare in due la strada che ho già ben disegnato nella mia testa. Ho già la soluzione. Andrò a stare da nonna, a Trofarello. L’università a Torino è ottima, e a due passi. Voi non avrete preoccupazioni, e io e la nonna staremo benissimo insieme”.
In breve tempo tutto era organizzato. Tutto sommato aveva avuto l’impressione di togliere un’incombenza ai genitori.
Eccomi Trofarello. Primi anni ‘90. Certo, nulla a che vedere con i ruggenti anni ‘80. La moda sembra di essere cinque anni indietro rispetto a Brescia.
Vabbè, non importa. Almeno non avrebbe nemmeno dovuto rifarsi il guardaroba. Bastava indossare i capi di qualche anno prima.

Enrico

Quadratino blu

La stazione. Cinque anni passati a rivederla quasi ogni mattina. Come fosse una cara amica, una presenza costante della sua vita o una maledizione, chi lo sa.
Cinque anni di liceo passati tra treni, libri, sale giochi e feste tra amici.
Cinque anni sofferti, come sofferta era stata la decisione presa quel giorno con tua madre dopo che era andata a parlare con i professori delle medie.
“Signora, Enrico ha un dono. Eccelle in tutte le materie umanistiche quindi non sto nemmeno ad argomentarle il mio consiglio. E’ fatto per proseguire gli studi in un liceo classico”.
“Enrico è un ragazzo tranquillo, riflessivo. Non portato per le materie scientifiche in cui mostra diverse lacune. Ma quando scrive e parla sento che potrebbe essere un buon oratore, un professore, un uomo di lettere”.Era tornata galvanizzata da quell’incontro sua madre e quella sera lo stava fronteggiando a cena, sicura già delle risposte che avrebbe ottenuto.
“Enrico, hai quindi pensato a cosa fare dopo le medie?”.
“Si, mamma”.
Un sorriso di compiacimento si faceva largo dal profondo pronto ad affiorare sulle labbra della madre in trepidante attesa della già nota risposta.
“Ci ho pensato tanto e ho deciso che andrò al liceo”.
“Bravo Enrico, ne ero sicura. Vedrai, ce ne sono alcuni molto vicini e molto conosciuti”.
“Non so mamma. In realtà non so dove sia il liceo scientifico più vicino”.
Quel sorriso che stava per esplodere sulle labbra della madre si trasformò improvvisamente in una smorfia strana, come un sorriso di un giocattolo rotto.
“Ma… come… insomma… perché?”.
“Vedi mamma, io me la cavo con le materie umanistiche ma ho una grave lacuna in quelle scientifiche. Sono convinto che ognuno di noi debba bilanciare le parti del suo essere per migliorarsi a tutto tondo. Io vorrei colmare quelle lacune”.enrico4
Il sorriso tornò a nascondersi dove era sorto. Lasciò il posto ad un’aria di sconforto mista ad un velo di rassegnata consapevolezza.
Quella sera quella donna fece quella scelta.
Che è poi quella che dovrebbero fare tutte le madri e i padri quando capiscono che i figli sono in viaggio verso il loro domani e loro non ne sono più gli autisti ma solo i traghettatori.
Dopo un liceo scientifico burrascoso concluso con fatica ora era la volta di decidere quale facoltà frequentare.
Non era questione di eccellenze e di lacune qui. Qui si iniziava a pensare al lavoro, a costruire, a guadagnare. In quegli anni, anni in cui “Ghost – Fantasma” e “Pretty Woman” riempivano le sale, Economia e Commercio riempiva le aule.
Ed eccolo ancora in stazione per cinque o più anni.
Quella stazione dove venivi subito sgridato e redarguito se cercavi, in ritardo, di attraversare i binari ma che, quando pioveva solo un più della norma e i sottopassi si allagavano, nessuno ti diceva nulla se tutti violavano allegramente le “più elementari norme di sicurezza”.
Niente carriera da principe, dottore o astronauta.
Qualche ragazzina in verità aveva fatto credere ad Enrico di poter toccare il cielo con un dito.
Ma nessuna, dopo quella ragazzina di otto anni,  lo aveva mandato più in orbita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *