Nomi di carne e non solo vittime di Capaci…

28 anni fa, il 23 maggio 1992, a Capaci venne fatta saltare in aria l’auto del giudice Giovanni Falcone, insieme a sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. «Quella ferita ancora oggi è inferta a tutto lo Stato, ma non possiamo dimenticare che da quelle stragi nacque un forte impegno dal basso delle persone che chiedevano giustizia e niente più mafia» racconta Stefano Francescon, cittadino trofarellese sensibile all’argomento che ha fatto arrivare a Città un proprio scritto per riflettere su quello che è stato e quello che può accadere oggi, in piena pandemia mondiale, con le attività criminali organizzate pronte a sfruttare la situazione e turbare la legalità con una pioggia di milioni di denaro contante da ripulire ed investire in attività legali. «È doveroso collegarci con uno dei passaggi che reputo fondamentali facendo mie le parole di Don Luigi Ciotti quando nel raccontare come nacque la giornata del 21 Marzo, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie e del terrorismo ci dice che il primo diritto di ognuno di noi è quello di essere chiamato con il proprio nome, perché non basta dire come spesso accade: “gli uomini della scorta”, quegli uomini come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo sono morti nella stessa maniera, sono persone vere con dei nomi e dei cognomi. E così mentre scrivo queste righe penso alle tante vittime delle mafie, a tutto quel l’elenco interminabile che ogni anno porto nel cuore e al fatto che a Capaci, in Via D’Amelio e in tutta Italia sono morte tante persone che lottavano per un Paese libero e più giusto. Occorre fare tutti di più su questo tema, perché occuparsi di legalità e contrastare le mafie non basta farlo nelle ricorrenze, ma giorno dopo giorno, con i nostri comportamenti, le nostre scelte e i nostri valori. Oggi questa pandemia  che ci ha costretti in casa, oltre a un aspetto sanitario; sta causando problemi economici, al piccolo commerciante come al grande imprenditore, ma anche un grave problema sociale che parte dalle periferie e che in qualche modo si sta facendo sentire con forza, facendoci capire quanto la situazione è ancora più grave. Persone più illustri di me stanno dicendo a gran voce che dove ci sono problemi economici e sociali, le mafie hanno terreno fertile. Questo è un momento in cui le mafie hanno tanto denaro disponibile, frutto delle attività criminali, che non si sono mai fermate e il rischio forte che la gente presa dalle difficoltà economiche si rivolga alle mafie per aver soldi facili per portare avanti le proprie attività. Per questo occorre riscoprire un senso civico e di unità, che portò quei ragazzi e non nel ’92 da Palermo a una grande mobilitazione civile e sociale in tutta Italia,  perché la parte sana del nostro Paese deve continuare ad alzar la voce e lottare affinché mafia e corruzione vengano sconfitte. Per far questo suggerisco tre parole: memoria, responsabilità e impegno. Tre parole che sembrano molto distanti tra loro, ma che si legano. La memoria nel ricordare il passato e i servitori che sono morti, la responsabilità nelle scelte che facciamo e l’impegno nel portare avanti questa grande battaglia. 
Voglio concludere con una frase di Giovanni Falcone che mi sta particolarmente a cuore : “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. 
A tutti quelli che sono impegnati nella lotta contro le mafie deve andare il nostro pensiero e la nostra riconoscenza».

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