Salvato dalla fucilazione a soli dieci anni da un ufficiale tedesco

Luglio 1944: si rifiutò di gridare “Viva il Duce”

16_2015_25_aprileCENTRO – Sono passati 70 anni da quel 25 aprile 1945. Ma c’è ancora qualcuno che ha qualche racconto legato alle vicende della liberazione e ad episodi trofarellesi legati agli anni della resistenza.

Felice Franco, ottantaduenne trofarellese da sempre, conserva nella memoria un interessante racconto che riguarda un suo concittadino: Anselmo Scalenghe.

Un racconto vivo e ricco di patriottismo, ancora inedito perché rimasto nella memoria e nella tradizione orale. È la vicenda di un giovane Anselmo Scalenghe, allora bimbo di 10 anni, di cui nel 2015 ricorre il venticinquennale della scomparsa.
La testimonianza di questo episodio venne raccolta anche dal professor Corrado Malandrino, per la stesura del libro “Trofarello, tra metropoli e campagna”, ma poi la moglie di Scalenghe non diede l’autorizzazione alla pubblicazione e tutto finì nel dimenticatoio.
Oggi Felice Franco, che di Anselmo Scalenghe era amico, ripropone questa testimonianza con la benedizione del nipote di Anselmo, Valter Scalenghe, presidente del coro Haendel che vuole ricordare quel suo parente che, tanto giovane, non si era piegato alla prepotenza fascista.

«Era il luglio del 1944, una domenica – esordisce Felice – La vicenda si svolge a Cima Villa, davanti alla Trattoria della Pace. Molti uomini e giovani trascorrevano il tempo a giocare a bocce e a carte. Ad un certo punto arriva un ragazzo correndo ed urlando: “Scappate che arrivano i fascisti e fanno il rastrellamento”.
Alcuni di quei giovani sono in età di leva e sono fuggiti per scampare alla guerra. Ne segue un fuggi fuggi generale tra questi giovani. Chi non aveva niente da temere e aveva i documenti a posto era rimasto. Dopo alcuni minuti sopraggiunge una squadriglia di una decina di giovani con non più di quindici anni guidati da uno che avrà avuto più o meno una ventina d’anni. Erano tutti armati di fucile, con una canna che era più alta di loro. Arrivavano tutti dal Ferrante Aporti, (che veniva chiamata la Generala, la casa di correzione minorile che allora stava in corso Agnelli). Dopo aver chiesto i documenti a tutti i presenti e non avendo trovato nulla di anormale, uno di questi si rivolge ad uno di quei ragazzi di Trofarello, Anselmo Scalenghe, che viveva proprio a Cimavilla, e gli ordina di gridare “Viva Mussolini”. Il giovane Anselmo, classe 1934, si rifiuta con i suoi 10 anni ed il coraggio che solo gli adolescenti hanno. Di fronte a quel rifiuto il gruppo di squadristi perde la testa e si accanisce sul ragazzo. Lo prendono di forza e lo conducono in piazza Duca d’Aosta, sotto la lapide dei Caduti, in prossimità dell’edificio Comunale. L’intento era quello di fucilarlo per quel rifiuto ad inneggiare al fascismo e al suo Duce. Mentre la situazione si fa sempre più concitata e pericolosa per il giovane Anselmo accade qualcosa di insperato. Qualcuno era corso alla Villa Ottolenghi, dove c’era il comando di un distaccamento dei soldati tedeschi.
Mentre Anselmo sentiva che quegli sbandati stavano per togliergli la vita fucilandolo per essersi rifiutato di piegarsi alla violenza e alla prepotenza vediamo arrivare dalla discesa a tutta velocità una bicicletta. Alla guida della vecchia bicicletta c’era un ufficiale tedesco. Lancia la bici in un angolo e corre davanti a quell’improvvisato plotone di esecuzione urlando come un forsennato “Raus, Raus”. Si getta sui ragazzi prendendoli a calci nel sedere e sciogliendo le file di quegli sbandati che volevano giocare alla guerra con la vita degli altri. Il piccolo Anselmo ebbe salva la vita da un nemico che da li a poco avrebbe visto la disfatta – conclude Felice Franco – Ricordo e racconto questo episodio drammatico anche per dare testimonianza di un’umanità che a volte nelle guerre non compare».

Roberto D’Uva

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *