Francescon vola al Pride e accende il dibattito sui diritti con Cirio e Visca

CENTRO – «Sabato 15 giugno si è svolto a Torino il Pride. Quest’anno ricorrono i 50 anni dei moti di Stonewall. Da quando, nel lontano 27 giugno 1969, la polizia statunitense irruppe in Stonewall ill, la comunità LGBT statunitense e a seguire le comunità di ogni parte del mondo, hanno scelto di celebrare la ricorrenza il 28 giugno, denominandola giornata dell’orgoglio lgbt. Nacque così l’idea del Gay Pride, rinominato poi Pride perché vuole includere tutti i diversi orientamenti e non vuole escludere nessuno – esordisce Stefano Francescon – Anche quest’anno il Pride ha visto sfilare più di 120.000 partecipanti per rivendicare i diritti che nel nostro paese non sono ancora legiferati. Penso alla legge sull’omotransfobia che ormai molti paesi europei hanno già promulgato e che condannano coloro che scelgono di usare la violenza contro le persone LGBT. Un’altra delle più gravi mancanze in Italia è la Step Child Adoption, il riconoscimento del figlio dal parte del partner, che tengo a sottolineare non è l’adozione in toto per le coppie omosex ma semplicemente un diritto che dovrebbero avere due persone che hanno dei figli. Perchè la definisco una grave mancanza? Perchè molti bambini delle Famiglie Arcobaleno non sono riconosciuti dallo Stato e sono privi di diritti. Da qualche anno si è scelto di collaborare con altre realtà che si occupano ad esempio del riconoscimento di molti bambini e bambine di origini straniere: il famoso IUS Soli che nel governo Gentiloni si stava tentando di portare a casa. È stato un Pride accolto con gioia dal capoluogo piemontese. Qualcuno pensa di continuare a dire che questo genere di manifestazione è un “carnevale”, ma da sempre il Pride rappresenta festa di amore, uguaglianza, libertà, unità. Aderiscono persino partiti politici, organizzazioni sindacali, associazioni in difesa dei diritti umani, associazioni di volontariato e tante persone che non sono neanche omosessuali. Tutti insieme per un giorno al fianco della comunità LGBT che per anni ha vissuto nell’isolamento totale e priva di ogni diritto. Sono amareggiato e dispiaciuto che per l’ennesima volta il mio comune non sia stato rappresentato da membri della giunta comunale. Il sindaco o chi per esso dovrebbe rappresentare ogni cittadino, ma così non è perchè io su questo tema non mi sento rappresentato. Ormai è la prassi non esserci, rispetto a comuni vicini quali Moncalieri, Chieri, Nichelino e tantissimi altri che come ogni anno rappresentano la propria comunità locale indossando la fascia e portando i loro gonfaloni come segno di città aperte che stanno al fianco della comunità LGBT e che scelgono di lavorare sui diritti civili. Mi spiace ribadire che Trofarello non è pronta ad affrontare queste tematiche. Manca la cultura e non ci si prodiga neanche a organizzare delle serate di confronto e aprire le menti alle nuove famiglie. Sono però contento di aver constatato che sabato, mentre stavamo attendendo l’arrivo del treno per Torino, molti altri ragazzi e ragazze mano nella mano salivano per partecipare al Pride. Un cenno di sorriso mi è venuto spontaneo nel sapere che a Trofarello ci sono persone che vivono il loro essere famiglia, ma soprattutto il proprio modo di amare in modo libero e sincero, senza vergogna.
Il Pride dunque anche quest’anno è stato un successo. Mi piacerebbe che, il prossimo anno, tanti e tante amiche di Trofarello scegliessero di partecipare a questa manifestazione. Invito nuovamente il Sindaco e la sua giunta a constatare che nel 2019 è importante confrontarsi anche su questi temi. Nessuno, a mio avviso, può pensare che i diritti civili siano un qualcosa di conquistato, soprattutto in questo momento in cui ministri e neo-assessori regionali si permettono di esternare frasi e provocazioni asssolutamente fuori tempo. Come si dice, il medioevo è finito da un bel po’.
Il Sindaco farebbe cosa gradita a quasi due anni dalla fine del suo mandato di mandare un segnale di apertura concedendo la delega alle pari opportunità. Mi auguro che scaturisca la voglia di dialogare e impegnarsi su questi temi sia per abituarsi a parlare di famiglie, e non più di famiglia, sia per incoraggiare ragazzi/e a fare coming out e sentirsi libero, senza aver paura di essere giudicato».

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