Dalle campagne trofarellesi tante storie di aiuti ai soldati allo sbando

Vincenzo La Licata

CENTRO – «La guerra è una gran brutta cosa. Una gran brutta cosa. Me lo ripeteva sempre mio padre. Di racconti ne aveva tantissimi. Tantissimi racconti e tantissimi ricordi. Avevano salvato tanti soldati allo sbando e negli anni ‘80 avrebbe voluto andare alla trasmissione condotta da Enzo Tortora, Portobello, per cercare qualcuno di quei tanti soldati italiani che avevano ottenuto cibo e vistiti civili per sfuggiuire ai rastrellamenti dei tedeschi». A raccontare è Luciano La Licata mentre i ricordi sono quelli del papà Vincenzo, scomparso nel 2007. «Ho letto l’articolo su Salvatore Lo Verso, pubblicato diversi mesi fa sul vostro settimanale, che aveva salvato molte persone che fuggivano dalla guerra e mi sono raffiorati alla mente i ricordi di tutti i racconti di mio papà. Nel periodo della guerra abitava in Sicilia, a Palermo. A seguito dei bombardamenti sulla sua città è stato sfollato e si è trasferito a Torino perché avevano dei parenti da parte di mia nonna.

Luciano La Licata

Durante il viaggio sono stati proprio inseguiti prima dai bombardamenti americani e poi dai soldati tedeschi che preparavano la fuga. Arrivati a Trofarello prima sono stati ospitati a Cimavilla e poi gli venne assegnato un terreno dalle parti delle fornaci, dove venivano costruite delle abitazioni che erano poco più delle capanne: i i ciabot. Così li chiamavano. Aveva anche degli zii, Santo e Savatore. Mi parlava di questi soldati italiani che erano allo sbando. Molti bussavano alla loro porta e mia nonna gli dava da mangiare. Gli scuciva i pantaloni in modo da trasformare la divisa militare in abiti civili. Dopo la scucitura e la ricomposizione dei capi li tingeva in modo da rendere irriconoscibili le divise militari. Non mancavano ma, poi, di dare qualche rapa e qualche patata. Papà raccontava sempre che loro hanno rischiato la vita perché se i tedeschi li scoprivano sarebbero andati incontro alla morte certa per fucilazione. Ma la cosa particolare era che, molto spesso, si trovavano a soccorere, sfamare e rifornire di abiti puliti molti tedeschi. Perché erano molti i tedeschi che non volevano la guerra. Mi raccontava che gli alleati avevano bombardato una tradotta ed i tedeschi avevano nascosto molte armi che, a fine guerra, mio nonno e gli altri hanno poi consegnato ai carabinieri. Proprio in quella occasione ci fu un rastrellamento ed anche mio nonno Filippo venne catturato come rappresaglia. Ma grazie al fatto che i miei aiutavano tutti i pianti della nonna intenerirono il cuore di un comandante tedesco che lasciò andare mio nonno, anche come segno di graditudine. Papà avrebba voluto andare a Portobello per cercare qualcuno di questi soldati che avevano salvato o che comunque avevano aiutato. Ora quella zona è stata bonificata ed è stata industrializzata. Nonno a Palermo aveva la tessera del fascio perché aveva bisogno di lavorare. Aveva 10 figli. Prima di arrivare a Trofarello sono stati diverso tempo nel quartiere romano del Quadraro. Altri ricordi sono quelli della pesca di carpe alle tampe con le bombe. Da bambino non avevamo la televisione e quindi ci raccontavano le loro storie. Dopo un po’ di tempo che era finita la guerra hanno anche provato a tornare a Palermo ma hanno trovato una situazione disastrosa e sono tornati a Trofarello. Non avevano nulla. Sono stati tra i primi meridionali arrivati in città».

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