Dalla Palestina a Trofarello per assaporare il sapore della libertà

Centro – Qualche giorno fuori dal campo per respirare l’odore della libertà. Dana ed Ahmad Anati sono stati ospiti dei trofarellesi Paola Panié e Nadia Gecchele per una manciata di giorni. Dana ed Ahmad sono fratello e sorella, lui è spigliato, sicuro con un inglese perfetto, lei sembra più timida, anche se inizia la propria presentazione in un bell’italiano. Due giovani palestinesi che abitano nel campo di Shu’fat, alla periferia di Gerusalemme. Due vite al limite per le difficoltà quotidiane. Due giovani che respirano la libertà dell’Italia come assaporano il profumo di un caffé espresso. 26 anni, inglese fluente, Ahmad è laureato in scienze politiche nel campo e volontario di un’associazione che gli ha dato l’opportunità di conoscere l’associazione Pax Cristi, grazie alla quale è stato organizzato questo soggiorno. Dana, 21 anni, è studentessa all’ultimo anno di infermieristica all’università di Betlemme. Anche lei è volontaria presso la stessa associazione. La domenica segue, sempre come volontaria, dei ragazzi disabili. Parliamo della vostra vita nel campo. «Il campo si estende per un chilometro quadrato. La popolazione si aggirà tra i 60 ed i 65mila abitanti. La maggiorparte della popolazione è costituita da rifugiati. Si tratta di profughi che sono stati allontanati dalle loro case durante le guerre del 1948 e e del 1967. Il campo è stato costruito nel 1965 dalle Nazioni Unite in previsione della guerra del 1967. La popolazione è costituita per la maggior parte da rifugiati provenienti dal centro di Gerusalemme. Le Nazioni Unite avevano fatto un contratto per cui le persone che si sarebbero spostate avrebbero avuto a disposizione una casa ed un campo ma dopo il trasferimento i rifugiati si accorsero che non c’era nulla ma solo una camera senza bagni, senza acqua, senza cucina. I bagni erano comuni e la fontana pubblica. In questo periodo, nel 1967, la popolazione era di 12mila abitanti. Poi la popolazione è aumentata fino ai numeri di oggi, 60, 65mila. Chi vive in questa area ha un documento blu che gli permette di entrare ed uscire ma non si è autorizzati ad avere la cittadinanza palestinese. La carta può essere tramandata ai figli. Nello stesso tempo la blu card ha un carattere temporaneo ed ha una scadenza specifica. La blu card ti permette di uscire dal campo. Altrimenti occorre uno speciale permesso dell’esercito israeliano. Nessuno degli abitanti del campo ha un passaporto israeliano. I palestinesi di Gerusalemme est possono ottenere un passaporto temporaneo giordano per viaggiare ed andare in Giordania ma non la cittadinanza. Se voglio viaggiare dall’aereoporto di Telaviv devo andare dal ministro israeliano e chiedergli un permesso. Questo documento di viaggio scrive che la nostra nazionalità è giordana. Insomma noi non abbiamo nessuna cittadinanza, né palestinese, né israeliana, né giordana. All’interno del campo ci sono molti problemi di carattere medico, sociale e culturale. Una sola clinica delle Nazioni Unite ed un solo medico nel campo che è mio padre. Può curare tra i 100 ed i 130 rifugiati e può dare le medicine base gratuitamente ai rifugiati. Se uno ha bisogno di una emergenza o di un intervento chirurgico si deve uscire dal campo ed andare in un ospedale palestinesi che però non hanno attrezzature. Oppure se hai la carta blu su può andare negli ospedali israeliani a pagamenti. Le scuole sono due divise per sesso. 2 mila ragazzi ogni scuola con classi di 40, 50 ragazzi e pochissimi insegnanti. Molti studenti lasciano la scuola per aiutare la famiglia andando a lavorare con paghe bassissime. Le ragazze si sposano a 15 anni e lasciano gli studi. Il governo israliano beneficia di questa situazione di bassa scolarizzazione». Cosa vi lascerà questo soggiorno? «Il sapore della libertà di poter fare le cose più banali come spostarsi liberamente o mangiare quello che vuoi, il sapore di un gelato o di una pizza e delle nostrae amicizie italiane. La voglia di far conoscere di più la nostra situazione. Per noi venire in Italia è stato un sogno e non lo scorderemo. Vivere questi giorni in Italia ci hanno regalato tanta speranza e molta energia. Ci ha fatto capire che non siamo soli. Grazie mille, amici italiani».

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