Il dovere di fare Memoria

CENTRO – Attivista e paladino dei diritti Stefano Francescon ha preso carta e penna e messo nero su bianco la propria testimonianza per la Giornata della Memoria che riportiamo interamente. «Anche quest’anno siamo arrivati al 27 gennaio, giornata della Memoria, che come tutti sapranno rappresenta il giorno in cui si ricorda la Shoah ma anche, per noi italiani, l’entrata in vigore delle leggi razziali che hanno costretto molti nostri connazionali, da un giorno all’altro, ad essere considerati “diversi”; le leggi razziali, le deportazioni, i famigerati campi di concentramento e sterminio hanno rappresentato uno dei periodi più brutti della nostra società e della nostra storia.
In questa giornata così carica di storia e di importanza, vorrei mandare un saluto e grazie dal cuore a Liliana Segre e Sami Modiano, per citare due sopravissuti a quegli orrori, ma anche un pensiero alle nostre comunità ebraiche che rappresentano la memoria viva e autentica di quanto è accaduto.
Quel 27 Gennaio 1945 quando i cancelli di Auschwitz-Birkenau vennero aperti mostrarono al mondo gli orrori di quei luoghi così carichi di morte e sofferenze atroci.
Non è semplice in poche righe raccontare cosa sia stato tutto questo e cosi riprendo in mano alcuni appunti che mi hanno accompagnato durante tutti gli anni in cui ho avuto la fortuna di fare i viaggi della Memoria e provo scrivendo un pezzo di questi appunti, della prima volta che entrai in quei luoghi, a raccontarvi le emozioni che ho avuto.
“Quel giorno mi alzai presto al mattino, faceva molto freddo a Cracovia, e ignaro di ciò che stavo per vedere mi avviai verso i pullman che ci accompagnarono in questa località distante circa cento chilometri da Cracovia. Man mano dal mio finestrino guardavo il paesaggio fuori che mutava, passando dalla città a dei campi con alberi ovunque, c’era la neve e questo rendeva tutto più angosciante. Ad un certo punto arrivammo a destinazione, un insieme di blocchi di mattoni; per dare una definizione sembrava una “città” in mezzo al nulla, solo distese di prati intorno. Faceva ancora più freddo, ero determinato ma sentivo molta tensione e rispetto per il luogo che stavo per vedere; apparve davanti ai miei occhi quella scritta: “Il lavoro rende liberi”. E passato il cancello, si aprì davanti a me una scena terribile, blocchi di mattoni circondati da doppio filo spinato ad alta tensione: ogni blocco custodisce il dolore e la memoria vera di quello che è stato. Voglio evitare di raccontare cosa si trovava all’interno, ma tutto era “perfetto” per far soffrire e uccidere, prima con le torture poi con le fucilazioni, le impicaggioni, gli esperimenti, soprattutto sulle donne e i bambini, e infine con lo Ziclon B, un topicida che permetteva evaporando nelle camere a gas di uccidere più persone alla volta. Qualcuno moriva subito, per altri la morte era lenta e senza fine perché si soffocava e si soffriva fino all’ultimo respiro. Proprio l’immagine delle camere a gas e dei forni crematori, con quelle pareti buie e fredde e quelle aperture in alto da cui venivano fatti cadere quei granuli di veleno mi ha sconvolto per sempre
Lì mi è sorta la domanda istintiva: perché tutto questo? Ma in me cresceva un senso di rabbia e indescrivibile voglia di non dimenticare. Uscii da Auschwitz e mi avviai verso Birkenau o Auschwitz 2, una distesa immensa grande come 10 campi da calcio. Non si riusciva a vedere la fine, c’era la neve e una temperatura impossibile da sostenere senza essere vestiti pesantemente. La porta della morte, dove entravano i convogli dei deportati (vagoni in cui solitamente si trasportavano animali) carichi di persone, pronte per i lavori forzati e poi per essere mandate alle camere a gas e ai formi crematori. A Auschwitz-Birkenau e i campi di sterminio intorno si concluse la fase finale dello sterminio, morirono più di un milione di persone trasformate in “cenere”. E mentre osservavo una collina sotto un cielo carico di nuvole grigie mi è sorta un’altra domanda: “Quanta indifferenza c’è stata?”. Tutti pensavano ad una fabbrica vedendo il fumo che usciva ma erano forni crematori, da lì quasi nessuno si salvò. I passi si facevano sempre più difficili ed è come se, guardando quel luogo dove tanta gente è morta, non si potesse quasi camminare per rispetto.
Entrai in quei luoghi con coraggio e ne uscii testimone per sempre di ciò che è stato. Tornai tante volte in quei luoghi della memoria, sempre un pugno nello stomaco e sempre con tante domande a cui non ho dato una risposta ancora oggi.”
Senza la Memoria di ciò che è stato, non sarà possibile costruire una società diversa, inclusiva verso le minoranze e conscia della storia da cui arriviamo. Ecco perché in questi anni mi sono battuto sui viaggi della Memoria, progetti che aiutano a conoscere la verità e a diventare testimoni per sempre di quanto accaduto. Ma per favore, non commettiamo l’errore di pensare che tutto questo è lontano da noi e non potrà mai più accadere. Tocca a ognuno di noi con i nostri gesti e con il nostro impegno non far spegnere mai la fiamma della Memoria, che deve diventare valore collettivo anche per i nostri ragazzi, vera chiave per un futuro migliore in cui io credo ancora».

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