La storia del Castello Rivera nella tesi della trofarellese Miletto

CENTRO – Una attenta ricerca storica ed una profonda analisi sul Castello di Rivera. E’ il frutto delle ricerche che la trofarellese Giulia Miletto ha ralizzato per la sua laurea magistrale in architettura. Giulia Miletto, classe 1991, ha conseguito la Laurea Magistrale in Architettura per il progetto sostenibile presso il Politecnico di Torino.
Esercita la libera professione di architetto occupandosi prevalentemente del settore residenziale, dall’elaborazione del progetto architettonico a quello di interior design, gestendo anche il cantiere e l’allestimento degli arredi che progetta su misura.
Fin da ragazzina si è dedicata al volontariato collaborando con diverse realtà locali trofarellesi e tutt’oggi si impegna nella partecipazione alla vita del paese. Come mai una tesi sul castello di Rivera? «Ho scelto il Castello Rivera di Trofarello come oggetto della tesi di Laurea Magistrale, in accordo con l’amica e collega Arch. Stefania Messaglia, con cui l’ho elaborata. Tale scelta derivò sia dalla consapevolezza che quasi nessuno conoscesse l’esistenza di tale edificio, sia dal fatto che non vi fosse documentazione completa del manufatto.
La tesi è di carattere interdisciplinare, in quanto ogni capitolo è stato redatto seguendo un preciso ambito coerente con il ciclo di studi affrontato: inquadramento territoriale e urbanistico, storia della sua evoluzione, rilievo dello stato di fatto mediante diverse tecniche, analisi del degrado e proposte di restauro e, infine, una sezione dedicata all’ipotesi progettuale di recupero e riutilizzo del castello». Facciamo un po’ di storia del castello?
«Certamente. I documenti più antichi della borgata Rivera risalgono all’anno 1228, ma la rappresentazione grafica con datazione più lontana è raffigurata sulla carta detta dell’Impiccato del 1457. Il castello nacque con la funzione di ricetto, di cui presenta la tipica conformazione: era costituito da una corte a pianta quadrata circoscritta da sole mura, con torri circolari agli angoli e un torrione centrale posto sul muro a Est. Le mura avevano originariamente i merli a coda di rondine ed erano dotate di camminamento di ronda, elementi difensivi essenziali: coerentemente con l’identità rurale contadina che ancora oggi caratterizza la borgata, il ricetto nacque per potervi riporre all’interno il raccolto dei campi, oppure per nascondersi al suo interno in caso di aggressioni esterne. L’area, isolata nel mezzo delle campagne, era infatti spesso a rischio di saccheggi.
Nel XV secolo vi fu l’ampliamento della costruzione, con il passaggio da struttura difensiva a residenza signorile della ricca famiglia chierese dei Simeone Balbo, che fece costruire le tre maniche residenziali all’interno delle mura. Dai documenti del Quattrocento si evince che furono anche realizzati il fosso intorno ai quattro lati, con il portale levatoio d’accesso e le latrine che scaricavano direttamente dentro alle acque.
Risale all’inizio del Cinquecento la sopraelevazione delle maniche nord e sud, in occasione della quale furono compiuti significativi lavori sull’intero castello. Alzando l’edificio, fu eliminata la merlatura, di cui però ancora oggi si possono scorgere i segni. Il manufatto era così diventato una residenza signorile, abbandonando l’originale fisionomia di struttura difensiva.
A partire da metà Cinquecento la penisola italiana fu investita da continue guerre, che continuarono per tutto il corso del XVII secolo e, sul Castello Rivera, non vi sono molti documenti che descrivono cosa vi accadde. Ne emerge solo il ritratto di una struttura inadeguata alla difesa, in quanto nei secoli furono inventate armi molto più potenti alle quali non si sarebbe più potuto opporre. Ebbe così inizio il suo lento e inesorabile declino.
Nel corso del XVIII secolo Rivera fu rivalutato e vi furono portate migliorie, soprattutto grazie a Giovanni Battista, erede della famiglia Simeone Balbo, ministro a Roma presso la Santa Sede. Quando nel 1775 il Conte morì senza eredi, lasciò il complesso in eredità alla Sacra Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro, innescando anni di battaglie legali fra essa e il Comune di Chieri, che ne rivendicava diritto di proprietà. Nel 1792 la causa legale si concluse con il riconoscimento di proprietà del comune chierese. La fabbrica veniva utilizzata da locatori o dal comune più come deposito e magazzino che non come residenza, ospitando raccolti agricoli, legno da ardere nell’inverno oppure oggetti di vario genere accatastati ovunque. Quando anche le spese ordinarie divennero fonte di perdita per il comune di Chieri, questo decise di alienarlo nel 1860.


Nel tempo la borgata ed il castello vennero frazionati e venduti a diversi privati: elemento di interesse non era il castello in sé, ormai in stato di degrado, ma la presenza al suo interno del pozzo d’acqua, cui si aveva diritto di utilizzo solo se proprietari anche solo di una piccola parte del manufatto. Ancora oggi, tale pozzo è collocato al centro del cortile interno del castello.
Un uso collettivo del manufatto, invece, risale al periodo della Seconda Guerra Mondiale: gli abitanti della borgata utilizzarono il torrione poiché al piano interrato fu costruito un cunicolo sotterraneo di fuga, che portava in prossimità del Mulino di Gallè.
E’ curioso come nei secoli la borgata abbia mantenuto la sua identità rurale contadina, ancora oggi preservata dalle attività agricole presenti».
Architetto Miletto, come ha fatto i rilievi per la sua tesi?
«Il castello è stato rilevato attraverso l’ausilio di diverse tecniche, la più interessante delle quali è sicuramente quella effettuata con il volo di un drone. Dalle immagini ricavate e dai calcoli effettuati con programmi informatici, è stato possibile ottenere una ricostruzione tridimensionale del castello in forma di nuvola di punti, con cui è stato stampato un modello fisico con una stampante 3D.
Lo studio del castello ha portato alla proposta di riutilizzo di un bene storico attraverso il suo inserimento in una rete territoriale sostenibile, la quale potesse essere generata dalla cooperazione tra diverse realtà: una sinergia tra la Regione Piemonte e i comuni dell’area collinare della provincia di Torino, fra il Comune di Trofarello in cui sorge e gli enti che in esso operano. La rete è stata pensata come attuazione dei principi di sostenibilità, che coinvolgono aspetti sia ambientali, che economici e sociali».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *