L’Europa che amiamo, l’Europa che critichiamo

CENTRO – In occasione della celebrazione della giornata dell’Europa, 9 maggio, Il trofarellese Corrado Malandrino, (già docente ordinario di Storia delle Dottrine Politiche Cattedra Jean Monnet di Storia dell’Integrazione Europea e membro del direttivo della Associazione italiana degli Storici delle Dottrine politiche) ripropone per città una serie di riflessioni sull’Europa e la sua importanza per la stabilità degli Stati. «Il 9 maggio fu la data scelta nel 1987 dalla Commissione europea come giornata di festa per l’allora esistente Comunità europea (CE). A seguito della firma del Trattato di Maastricht nel 1992 fu approvata definitivamente come giorno di festa dell’Unione Europea (UE). Perché fu decisa questa data? Essa fu proposta per ricordare l’evento decisivo per l’avviamento del processo concreto di costruzione dell’unità europea: il discorso storico tenuto il 9 maggio 1950 dal ministro degli Esteri francese Robert Schuman con il quale – accogliendo la proposta del suo consigliere Jean Monnet – egli invitava tutti gli Stati europei interessati a unirsi in pace per fondare la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). L’obiettivo che veniva proposto era di per sé molto importante per ricostruire l’economia europea distrutta dalla seconda guerra mondiale. Lo scopo principale non era però semplicemente economico, ma era proiettato verso il fine politico essenziale di fondare la pace “perpetua” in Europa. La CECA doveva essere il primo passo per arrivare con lo sviluppo graduale di più larga integrazione economica nell’arco di un cinquantennio, come si scrisse nel suo trattato istitutivo di Parigi del 18 aprile 1951, a una “Comunità più vasta e profonda tra popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose, e a porre i fondamenti d’istituzioni capaci d’indirizzare un destino ormai condiviso”. In altre parole, di porre i presupposti per creare una federazione degli Stati Uniti d’Europa attraverso una costituzione politica. Il “Piano Schuman” fu concepito per mettere la parola fine per sempre alla guerra tra le potenze europee tramite la completa integrazione economico-politica. Non solo tra la Germania e la Francia, principali responsabili delle grandi guerre nazional-imperialiste e mondiali, ma anche con tutti gli altri paesi europei. Sei furono gli Stati fondatori della CECA: Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, che nel 1957 diedero vita anche alla Comunità Economica Europea (CEE) e alla Comunità Europea per l’Energia Atomica (CEEA). Il Regno Unito non partecipò proprio per la sua contrarietà all’unione politica, ma aderì nel 1972 e poi nel 1992 al Trattato di Maastricht, fino all’uscita dall’UE (Brexit) nel 2016. Sono 27 oggi gli Stati membri dell’UE.
Con l’integrazione l’Europa che amiamo ha raggiunto in poco più di mezzo secolo tre grandi successi che oggi festeggiamo: la pace, lo sviluppo economico nel mercato unico e l’euro, la sicurezza comune. Ma non sono risultati conseguiti completamente e per sempre. Manca l’unione politica. E occorre confermare l’unità economica raggiunta con la volontà di tutti i giorni, specie oggi che un rinascente e aggressivo nazionalismo sovranista li mette a rischio, e con essi la pace
– spiega Malandrino – Questi non saranno al sicuro finché l’Europa non diventerà una federazione politicamente autonoma e concorde. Perché vi sono importanti questioni aperte, aggravate dalla situazione creata dalla guerra provocata dalla Russia con l’invasione dell’Ucraina. La
Conferenza sul futuro dell’Europa conclusa nel 2022 ha indicato una serie di riforme istituzionali per accelerare il percorso verso l’unità politica, ma purtroppo essa stenta a partire concretamente. C’è il nodo della costruzione di un nuovo quadro di regole politico-economiche che consolidi le iniziative di cui il PNRR rappresenta un risultato ancora da realizzare e già messo in dubbio da vari Stati membri. Urgono, tra gli altri, la questione energetica, la difesa ambientale, la riforma del trattato di Dublino per definire una più equa politica sulle migrazioni. Ma forse il nodo più importante resta il quadro strategico-politico da definire nei confronti degli aiuti all’Ucraina, rispetto al quale l’UE – proprio per la sua debolezza politica – appare penosamente al rimorchio delle decisioni delle superpotenze. È chiaro che l’aggressione russa va contro i princìpi basilari che stanno alla base dell’idea dell’Europa unita e del processo d’integrazione socioeconomica e politica. La decisione di Putin ricorda nella sua logica l’abominio perpetrato dai capi delle guerre balcaniche nell’ultimo decennio del Novecento. La causa fondamentale di questa logica bellicosa, aggressiva, fratricida, è però il risultato del risorgere prepotente in questi ultimi anni di logiche geopolitiche nazionaliste e sovraniste, che riportano indietro le lancette del tempo al mondo novecentesco che ci si illudeva d’aver superato. La retorica dei sacri confini, responsabile di 100 milioni di vittime nel Novecento, sta riattraversando anche la guerra russo-ucraina. È necessario difendere la democrazia ucraina contro questo imperialismo ‘grande russo’, ma senza commettere l’errore di dimenticare che alcune istanze di sicurezza e identitarie del popolo russo hanno comunque un fondamento nella storia. Il nazionalismo sovranista non è solo dei Putin, ma sta risorgendo in tutto l’Occidente e all’interno dell’UE. È il principale ostacolo alla sua integrazione politica più profonda. Alcuni errori dovuti a una logica nazionalista hanno spinto membri dell’UE, oltre che dell’alleanza atlantica, a dare troppo spazio alla richiesta ucraina di adesione alla NATO, cosa che rappresenta una delle cause all’origine della crisi bellica in corso. La guerra di aggressione all’Ucraina è una conseguenza di questa logica estrema, che in misura diversa è però condivisa da russi e ucraini, per quanto i primi siano in questa circostanza chiaramente gli aggressori da contrastare e i secondi gli aggrediti da soccorrere e aiutare
– conclude Malandrino – Per elaborare una strategia che sia in grado di confrontarsi su questi problemi con le superpotenze non basta l’attuale UE, occorre un’Europa unita con vincoli federali. Se l’Unione Europea vuol progredire verso il rango di “potenza civile” che con una propria politica, così come con l’economia, contribuisca più efficacemente a costruire pace e benessere nel mondo, è necessario che essa divenga anche una “potenza” coesa al suo interno, una realtà capace di imporsi all’attenzione delle altre “potenze” del mondo. Per il conseguimento di questo obiettivo il presupposto ineludibile è dato dalla sua reale unità politica, a prescindere da come poi la si voglia chiamare. Il passaggio necessario per realizzare tale unità è trovare un concreto fondamento costituzionale e democratico comune. Sarebbe questa l’Europa che veramente amiamo».

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